Sogno un mondo dove non ci siano FemCamp

In questi giorni ho sentito molto e letto molto a proposito del FemCamp di Bologna.
Sulla specificità delle blogger, sulla non necessità di sovraesporsi, sull’utilità e inutilità di questi mezzi, ecc.

Alla fine sottoscrivo praticamente parola per parola quanto scritto da Andrea Beggi (che è una fan culture) e lo sintetizzo così (scusa Andrea):

1. se vuoi entra nelle conversazioni: non ci sono risposte ma modi di conversare che ti porteranno da qualche parte;
2. se ti chiedi “perchè” bloggare e perchè no la risposta è dentro di te: trovala;
3. rispetta la libertà di espressione e lascia che i blogger si autoselezionino (teoria dei 100 fiori).

Il FemCamp è stato “irritativo” (nel senso della Teoria dei Sistemi Sociali) e diversamente dalle altre nonconferenze ha stimolato distinzioni e differenze. D’altra parte un barcamp “al femminile” ha avuto la funzione di puntare l’attenzione sulle differenze di genere, su qualità distintive che traccino demarcazioni fra i blogger, frammentando, esaltando le specificità di linguaggio, la femminilizzazione del pensiero, ecc.
Dai giorni in cui ho frequentato il cyberfemminismo (Haraway, Braidotti, ecc.) ho sempre considerato la moltiplicazione delle differenze una sana spinta destrutturante e il conflitto un terreno importante per evolvere.
Forse però in questo caso la chiusura del post di Beggi rappresenta l’altra faccia salutare della medaglia:

Sogno un mondo in cui non esistano FemCamp né feste della donna

8 pensieri riguardo “Sogno un mondo dove non ci siano FemCamp

  1. Che gli uomini sognino un mondo meno maschilista può essere consolante. Ma a vedere come vanno le cose la vedo dura. E poi effettivamente anche le donne dovrebbero cambiare un po’ registro. Ma questo blog non è dedicato a questi temi, no?

  2. @laura No,in effetti questo blog non è dedicato a questi temi. La differenza di genere è però centrale nei cultural studies. Ecco perchè ricorre anche in questo blog, anche se non è una parte fondamentale di esso. La femminilizzazione del pensiero però mi interessa molto, cioè mi interessa pensare all’esistenza e alla manifestazione di un punto di vista “al femminile” sul mondo.
    @carla E’ vero, siamo uomini. Differenza di genere e genetica, antropo-storica, contingente. Il mio usare “non più FemCamp nè feste della donna” serve più ad augurarsi la normalità del trattare le differenze di genere senza considerarle eccezionalità. Solo questo.

  3. sono d’accordo nel trattare la differenze di genere come normalità in relazione ai punti di vista, al sapere, alle forme dell’esperienza. tuttavia, se pensiamo ai diritti è difficile riconoscere una situazione di normalità: la normalità, secondo me, dovrebbe corrispondere ad una parità, e sappiamo che non è così, non su tutti i fronti del vivere e non ovunque. questo non è un tema di questo blog, però mi piace pensare che le battaglie sui diritti interessino tutti e possano essere portate avanti da uomini e donne insieme.

    credo invece che sia un tema di questo blog la dimensione culturale dell’identità e il suo rapporto con la memoria collettiva che è, essa stessa, un prodotto culturale.
    allora mi viene spontaneo chiedermi come si può sognare un mondo dove le ricorrenze che hanno un valore storico e culturale svaniscano? come ci si può auspicare un mondo senza festa della donna?

    voi abolireste il primo maggio? eppure i lavoratori non sono più quelli di una volta, potrebbe dire qualcuno (ingenuamente), e la festa del primo maggio è diventata il giorno delle gite fuori porta e dei concerti nelle piazze; così come la festa della donna si è svuotata di tanti significati e ne ha acquisito altri, anche discutibili. in ogni caso, entrambe le feste hanno ha a che fare con una memoria che ha fondato la nostra cultura.
    secondo me, più che abolirle, sarebbe bene interrogarsi sul perché e sul come i loro significati sono cambiati e, forse, auspicarsi che, anche se da lontano, i significati passati continuino in qualche modo a sopravvivere, nell’attesa di essere riattivati (magari dal sistema dei media, magari dal basso) e rimescolati con le nuove forme dell’esperienza.

    comunque hai proprio ragione… questi argomenti irritano, natularmente nel senso della teoria dei sistemi sociali 😉

  4. mmm, qualcuno ha detto memoria? sulla specificità delle blogger, idea non condivisa da Andrea, ho gia scritto domenica scorsa (ho qualche responsabilità rispetto ai toni accesi del dibattito al riguardo). Credo potrebbe essere un interessante linea di ricerca (tra sociologi, si potrà dire, no?). Roberta

  5. @ giulia: utilizzare slogan – poi il post si riduce a questo – ha la funzione di sintetizzare ma ovviamente lascia il fianco a molte critiche.
    Provo ad esplicitare, ma tenete anche conto che l’uso dell’ironia è un’arma culturologica utilizzata spesso dai gender studies.
    Il senso generale del post era del tipo “Ho fatto un sogno…”, ho sognato un mondo dove non c’è bisogno di avere la festa della donna.
    Niente di che, il sogno l’ha già fatto Martin. Non “abolire”, “sognare” (d’altra parte ognuno vede nelle cose scritte ciò che può vedere, non vede ciò che non può vedere e non vede che non può vedere ciò che non può vedere)

    E’ perfetto, poi, preservare la memoria attraveso celebrazioni, riti e quant’altro. Poi fate i conti con lo svuotamento di significato vi ritrovate a regalare mimose remixando con cene di coppia stile San Valentino e mashup realizzati dai bambini con disegni stile festa della mamma (“mamma ti voglio bene” su campo di mimose con cuoricini rosa e rossi). “Svuotamento di significato”: meglio: produzione di nuovi significati, contingentizzazione delle esperienze. Cose così.
    Sarebbe necessario distinguere fra memoria individuale e del sociale. Si può non dimenticare anche trasformando o considerando che tra memorie individuali e del sociale ci sono nuove sincronizzazioni.
    Temi sensibili 🙂

  6. Solo una cosa sulla memoria dell’ 8 marzo..
    perche’ si regalano mimosa?
    perche’ il giorno della festa della donna durante il fascismo, per riconoscersi fra antifasciste, si decise di appuntarsi una mimosa..
    quel giorno Milano era tutta un fiore giallo 🙂
    Questo l’ho scoperto guardando ‘Nome di battaglia Lia’ di Renato Sarti..
    E’ vero, la memoria serve..

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