Twitter we sense

twitter upgrade

In momenti come questi, quando una delle possibilità di comunicazione viene meno, ti resta tempo per qualche riflessione. Fino alla ripresa del servizio, almeno.

Twitter. Uno dei tanti mezzi di sovraesposizione. Forma di messa in narrazione dei vissuti per un pubblico conosciuto-anonimo, quello della rete, fatto di lettori (s)conosciuti e da followers e favorites.
Perché le nostre vite (o meglio: ciò che noi consentiamo di osservare delle nostre vite attraverso una messa in narrazione) diventano interessanti? In che senso vanno “lette”?
Dove nasce la volontà di sovresporsi e seguir la sovraesposizione altrui?

Sicuramente c’è il fatto che la dimensione temporale, l’assoluta sincronizzazione tra conoscenza ed esperienza mediata nell’epoca della delocalizzazione, viene privilegiata. Ad esempio così:

Sono orgogliosa di annunciare che grazie a Twitter ho assistito praticamente in diretta alla nascita di Ludovica, patemi d’animo, ansie e gioie connesse! Congratulazioni a papà Nicola Mattina e a mamma Patrizia 😀

Per alcuni Twitter sembra essere una strategia di promozione: “sono qui”, “ho incontrato questo e quello”, mi hanno invitato lì… Per altri una forma di socializzazione continua e delocalizzata:

@beba: sono d’accordo con te – riferendosi a uno dei messaggi Twitter di un altro utente che stanno seguendo.

Twitter è una delle tante occasioni del nuovo web che ruota attorno alla capacità di auto osservazione dell’individuo: la sollecita e le dà forma. Aggiornare Twitter significa guardarsi nel quotidiano, riflettere su te e le cose che fai: non a caso la forma utilizzata nei messaggi è spessissimo quella in terza persona: uno dice di se

“doveva alzarsi a studiare, invece ha spento la sveglia e ha dormito! 😛 dovrà darci sotto nel pomeriggio”.

Parlare di se in terza persona è la resa visibile del meccanismo di auto osservazione e dà conto della spazialità dell’azione, consentendo alla forma scritta di collocare nei luoghi i vissuti – spesso in chat si utilizza la terza persona proprio per passare dalla conversazione alla visualizzazione della corporeità nello spazio: “si alza e va bere. Torna al computer”.

Poi c’è il fatto che Twitter è un supporto a comunità che crescono.

La dimensione gruppale è sempre presente. Nel macro universo c’è sempre un micro cosmo di persone che hai incontrato o che conosci e che segui nella distanza o nei momenti in cui non sei in contatto fisico. Twitter dà al gruppo il “we sense”, lo fa percepire come tale. Realizza le forme possibili di comunicazione mediata dando il senso dell’esserci comunitario.

Certo ci sono anche quelli che godono della crescita di facce nel loro twitterroll. O forse hanno la forza del dott. Manhattan che in Watchman osserva costantemente il mondo da un muro di televisori.  O forse i loro occhi tra le miriadi di facce e messaggi vedono solo quelli del loro “we sense”.

4 pensieri riguardo “Twitter we sense

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