Spot.us e la sfida dei pubblici connessi a questo giornalismo

Il contesto di cultura convergente che porta la sfida dei pubblici connessi ai modi di produzione di contenuti di informazione ed intrattenimento, sembra aver aperto, anche nella realtà italiana, una piccola faglia nel mondo del giornalismo. Parlo di progetti come Dig-it a Youcapital e Spot.us Italia che abbiamo cominciato ad osservare come forma di disintermediazione (nuova modalità di intermediazione leggera?) tra lettori e giornalisti.

Ho spiegato altrove, nella rubrica Mutazioni Digitali, il rapporto che secondo me si va delineando nel contesto culturale italiano e che pone differenze rispetto alle esperienze anglosassoni.

Per osservare più da vicino le motivazioni ed i bisogni di informazione su cui questi progetti fanno leva ne ho parlato con Federico Bo, che assieme a Antonella Napolitano e Antonio Badalamenti è responsabili della trasposizione italiana di Spot.us.

Ecco la versione completa del confronto avuto con Federico.

[GBA] Com’è nata l’idea di sviluppare in Italia un progetto come quello di Spot.us, anzi di portarlo in franchising?

[FB] Io e Antonio Badalamenti, giovane economista e project manager, ci siamo occupati per quasi un anno di un progetto legato a giornalismo e web. A febbraio, per dissidi con gli altri due soci, lo abbiamo lasciato. Ci siamo chiesti se dovevamo sprecare esperienze, contatti, informazioni, strumenti – una piattaforma che avevo messo su per il precedente progetto – accumulate fino ad allora. La risposta è stata: no. E abbiamo rilanciato. Ci diciamo:”Portiamo in Italia la filosofia di Spot.Us”, un progetto americano, spesso presente nelle nostre discussioni. Conoscevo da Kublai Antonella Napolitano, che si interessa tra le altre cose di informazione indipendente e giornalismo. L’ho chiamata per coinvolgerla. Scopriamo che Antonella conosce David Cohn, l’ideatore di Spot.Us! Tramite lei ci mettiamo in contatto con David, chiedendogli consigli, appoggio e il permesso di utilizzare il nome “spot.us” (il “brand”…); David non solo è d’accordo, è entusiasta e ci propone di entrare in un suo gruppo che raccoglie tutti coloro che tentano di esportare in altre città degli Stati Uniti e di altre nazioni la filosofia Spot.Us. Il nostro impegno con David è quello di tenerlo informato e di cercare di costruire insieme un ecosistema tecno-sociale dedicato all’informazione indipendente improntato agli stessi principi e ideali.

Io mi occupo dell’infrastruttura tecnologica e della gestione generale, Antonio della parte finanziaria e dei contatti con finanziatori, partner ecc., Antonella della promozione e della redazione. Ma ovviamente il più delle volte non ci sono confini netti: siamo così in pochi che dobbiamo occuparci di tutto.

[GBA] Secondo te quale tipo di cittadini e giornalisti si lasceranno coinvolgere?

[FB]  Giornalisti in grado di cogliere il cambiamento in atto nel loro settore, a loro agio con le nuove tecnologie e con le nuove filosofie della Rete, attenti al territorio dove vivono e lavorano, ansiosi di poter produrre e pubblicare contenuti di qualità, in grado di esplorare la realtà oltre la superficie.

Cittadini che hanno scoperto il potere aggregativo e partecipativo della Rete, stufi di vedere una rappresentazione distorta e addomesticata della realtà imposta loro dalla quasi totalità dei media mainstream. Cittadini e lettori attivi, responsabili, attenti, in grado di rivelare storie, vicende, fatti e misfatti che avvengono vicino a loro, nel loro quotidiano. Lettori attivi, che non solo vogliono finanziare le inchieste, ma vogliono contribuire con il loro impegno, collaborando con il reporter che effettua l’inchiesta. Ho sempre in mente l’esperimento del Guardian, che ha “arruolato” i lettori per spulciare tra le migliaia di documenti dell’inchiesta sulle note spesa gonfiate dei parlamentari.

[GBA] Non ti sembra che ci siano prospettive diverse rispetto al modello anglosassone che dipendono dalla cultura giornalistica e politica del nostro paese? E quindi: quali limiti del crowdfunding e quali inchieste possibili?

[FB]  Secondo me non è un caso che la nostra, come altre iniziative simili, stiano nascendo in Italia prima che in altri paesi europei. La “fame” di giornalismo d’inchiesta è alta ovunque – proprio oggi la Reuters dice che i lettori divorano i servizi d’inchiesta, 10 a 1 rispetto agli altri – ma in Italia questa domanda, sotterranea ma palpabile, è prioritaria (vedi il successo di trasmissioni “di resistenza” come Report). Dico, riprendiamo e riprendiamoci il racconto della realtà, la realtà che vive oltre la superficie, al di là degli slogan, dietro l’(auto)-illusione

Il crowdfunding è un sistema nuovo – almeno concepito in questo modo, Telethon esiste da anni, quindi tutto da sperimentare. Noi speriamo, da un punto di vista tecnico, di affiancare le donazioni via PayPal a sistemi di pagamento via sms, più famigliari a molti cittadini.

Siamo convinti che le inchieste legate al territorio (lo so, parola abusata e logorata…), al quotidiano, al mondo del lavoro saranno quelle che più beneficeranno di questo sistema di finanziamento, grazie anche alla possibilità, per reporter e cittadini, di entrare in contatto tra di loro. La georeferenziazione e la ricerca per competenze dei reporter potrebbe essere uno strumento utile, per esempio.

Pensiamo anche a tutte le associazioni, i comitati o i gruppi che si auto-organizzano online per sostenere una causa o denunciare una situazione: ottimi “committenti” per questo tipo di inchieste.

Inoltre le testate giornalistiche, specie quelle locali o quelle online, potrebbero beneficiare del sistema che permette loro di finanziare anche solo il 50% delle inchieste (che lo ricordo possono essere articoli, fotoreportage, videoinchieste) per poterle pubblicare in anteprima.

Pensiamo di cooperare anche con altri progetti in qualche modo legati al nostro, perché con sperimentazioni di questo tipo è auspicabile un ecosistema collaborativo piuttosto che solo competitivo. 4. ci sono già inchieste in campo o che prevedi?

Per il momento siamo in fase di “rodaggio”: accogliamo le prime proposte dei reporter, spieghiamo loro il modo migliore di presentarle e di sostenerle, facciamo “call” per spingere i reporter a iscriversi ma soprattutto a fare proposte.

L’operazione più difficile sarà far conoscere e apprezzare ai cittadini l’esistenza di questa nuova forma di giornalismo collaborativo, questa join venture tra cittadini e professionisti dell’informazione.

[GBA] Una riflessione a margine …  con il fatto che l’agenda viene dettata da coloro che desiderano fare un’inchiesta e che le inchieste vengono fatte se vengono finanziate… nel contesto italiano ci potrebbe essere il rischio di finanziatori “occulti” ad hoc (sia delle minoranze politiche che possono far emergere i disagi calcando la mano o nelle maggioranze, per ragioni diametralmente opposte?)

[FB]  Il rischio esiste. Noi abbiamo fatto in modo che un singolo non possa versare più di 50 euro per inchiesta; inoltre è pubblico l’elenco di finanziatori di ciascuna inchiesta.

Il meccanismo migliore è quello stile “wikipedia”: se anche un gruppo finanzia un’inchiesta “di parte” un altro gruppo può finanziare una contro inchiesta. E comunque le inchieste sono soggette a supervisione dalla redazione, che effettua un controllo sulla qualità, le fonti citate, i dati e le informazioni raccolte per evitare la pubblicazione di inchieste senza basi solide e smaccatamente “di parte”.

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