L’orientamento religioso di un neo laureato su Facebook e lo sguardo del direttore personale

Leggiamo su La Repubblica che “Sette direttori del personale su dieci cercano su internet profili e notizie prima di decidere se assegnare o meno il posto a una persona”. Sono cose che abbiamo cominciato a capire da un po’: la nostra continua e costante produzione di contenuti in Rete ha prodotto uno stato di sovraesposizione che si associa alla possibilità (facilità?) di ricerca dei contenuti stessi. La conseguenza è la sensazione che cercando anche semplicemente su Google possiamo sapere chi sia una persona.

Ma questa equivalenza, “sei quello che pubblichi”, non tiene conto del contesto di produzione e condivisione dei contenuti o della complessità nel comprendere il “tono” delle conversazioni (è vero, siamo in pubblico, ma stiamo “cazzeggiando” fra amici). Ad esempio capita che

Alle volte, per insinuare un dubbio in testa a un datore di lavoro, può bastare anche una sola frase. Come quella che un giovane ingegnere, poco prima di un colloquio, aveva lasciato scritta in un forum: “Tra un anno mi trasferisco in Giamaica”. Non importa se concreta dichiarazione di intenti o effimero sogno di una sera, di sicuro al direttore del personale non ha fatto piacere leggerla.

Il fatto di avere la possibilità di guardare in trasparenza le vite degli altri ci fa dimenticare che spesso abbiamo a che fare con delle narrazioni delle vite che contengono un mix di elementi di verità e finzioni utili al racconto, la cui distinzione è comprensibile solo attraverso la comprensione del contesto, quella cosa per cui ad un amico è evidente perché hai scritto così ma ad un estraneo no. E la cosa che scrivi, la foto che metti, il video che carichi, producono racconti diversi per audience diverse.

Eppure ciò che pubblichiamo diventa “informativo” per chi deve prendere una decisione su di noi, ad esempio assumerci:

“Le informazioni corredano un curriculum – sottolinea però Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda- , ma non sono decisive. Servono per conoscere meglio i candidati, per verificare se il loro stile di vita, i valori che loro esprimono sono simili a quelli dell’impresa. Senza parlare poi degli atteggiamenti espressi dai candidati che possono favorirli rispetto agli altri o meno”.

Per verificare “il loro stile di vita”, “i valori che esprimono”… servirà molta competenza sulle grammatiche del digitale da parte dei direttori personale per evitare che il riempimento del campo sull’orientamento religioso o politico su Facebook, ad esempio, o dei gusti sessuali o della filosofia di vita diventi l’elemento decisivo per l’assunzione di un giovane neo-laureato.

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