Per un giornalista su due la pubblicità condiziona la linea editoriale

La pubblicità condiziona la linea editoriale delle testate secondo un giornalista su due. Potremmo sintetizzare così i risultati di una indagine esplorativa (metodologie e campione li trovate qui)  che abbiamo condotto per l’Ordine dei Giornalisti in collaborazione con il gruppo di lavoro del Consiglio nazionale “Qualità dell’ informazione e pubblicità” coordinato da Pino Rea.

Lo scenario che emerge dai dati è sfaccettato. Se da un lato i giornalisti sembrano avere ben chiare le linee di comportamento etiche nei confronti della pubblicità definendosi molto d’accordo con una affermazione che sottolinea l’importanza di evitare di fornire informazioni, consigli o giudizi nell’interesse degli investitori pubblicitari (73%), dell’editore (63%) o di un qualsivoglia gruppo politico o sociale (66%), dall’altro, quando devono esprimersi sull’effettiva realtà del rapporto tra informazione e pubblicità le risposte cambiano.

Chiedendo di esprimere un parere di accordo o disaccordo sull’indipendenza della linea editoriale nei confronti della pubblicità, solo il 50% degli intervistati se la sente di definirsi “molto” o “abbastanza” d’accordo con questa affermazione mentre il 46% ritiene di non condividere l’idea di una indipendenza. Il dato vede praticamente la stessa opinione espressa da giornalisti appartenenti a testate tradizioni o di redazione online.

In una dichiarazione pessimista un intervistato dichiara:

Bene o male l’informazione è schiava della pubblicità. Per questo il mestiere del giornalista è quello di sostegno al pubblicitario, che finanzia il suo lavoro. Il giornalista non deve più creare l’informazione, ma solo supervisionarla, adattarla.

D’altra parte sappiamo come la stretta relazione tra strategie editoriali e raccolta pubblicitaria abbia portato negli anni a modificare anche i modi di relazione fra informazione e pubblicità. Siamo talvolta oltre i semplici redazionali: capita infatti che possa essere difficile distinguere se si tratti di un vero e proprio articolo che rispecchia l’urgenza di temi dell’agenda mediale o di un compromesso rispetto alla necessità di trattare un argomento “sponsorizzato”.

Per indagare questa dimensione abbiamo chiesto il grado di accordo o disaccordo rispetto all’affermazione secondo la quale La separazione tra informazione e pubblicità è sempre meno facilmente definibile” per il lettore. Il 79% percento dei rispondenti si dice d’accordo con questa affermazione sottolineando come un’effettiva difficoltà a distinguere tra i due ambiti comunicativi esiste.

Una prima sintesi della ricerca la trovate qui. Per gli interessati ne discuteremo il 27 gennaio a Milano al Circolo della stampa.

7 pensieri riguardo “Per un giornalista su due la pubblicità condiziona la linea editoriale

  1. Nella mia personale esperienza non ci sono mai state richieste di modifca dei contenuti o censure per andare incontro a sponsor o pubblicità. Ma in generale, essendo l’affermazione posta in modo categorico con quel “in alcun modo”, io risponderei che non sono d’accordo. Non mi sentirei pertanto di sostenere che non c’è NESSUNA influenza della pubblicità sulla linea editoriale. E poi non dimentichiamoci che in Italia non esistono editori puri e quindi mi verrebbe da dire: “di cosa stiamo parlando?”.
    In ogni caso credo che sia urgente un osservatorio su questi temi, ora che le inserzioni pubblicitarie sui media si sono drasticamente ridotte a causa della crisi economica, i rischi di forme alternative (indistinguibili o addirittura subliminali?) di sponsorizzazioni sono più alti che mai.

    1. Infatti il punto è quello che tu indichi Cristiana: il mutamento economico unitamente alla condizione strutturale. Vale ancora il rapporto declinato dalla carta deontologica fra informazione e pubblicità? E come?
      Sulla “drasticità” della domanda: fa parte di una batteria con domande di controllo e va integrata con le altre. Ovviamente mi affiderei maggiormente ad un approfondimento qualitativo ma nella declinazione delle risposte emerge abbastanza chiaramente un quadro in cui le età estreme del giornalismo (i più giovani e i più anziani) sono disincantati rispetto al tema mentre i 30-54 sono molto più critici.

      In definitiva si tratta di una analisi preliminare utile a produrre all’interno dell’Ordine un dibattito.

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